Passeggiando solitario fra le vie di Trieste, inconsapevolmente le ho dato l'addio


E’ stato un caso. Quel sabato mattina, ho deciso di alzarmi presto per concedermi una passeggiata solitaria. Fuori dalla porta di casa, ad attendermi era l’abbraccio di un’aria frizzante, sotto la cupola di un cielo limpido e immacolato. Mi sono mosso in direzione di Piazza dell’Unità, attraversando le familiari vie triestine che da Piazza Oberdan conducono al cuore storico della città. Passeggiando attraverso questi viali, l’osservatore è assorbito in un’atmosfera quieta, pacata, quasi un riflesso dello spirito triestino ritrovato nelle sue architetture classiche ed eleganti. 





In Piazza della Borsa, crocevia della citta', il moderno confluisce nella finezza ottocentesca, in una perfetta transizione di stili che sancirà finalmente la vittoria del classico. Un breve respiro, l’apertura di Piazza della Borsa non è altro che il preludio di una nuova, timida chiusura: il corso principale si stringe un poco attraverso solenni palazzi, una piccola apnea che anticipa l’emersione, la luce.



Nonostante i sei mesi trascorsi qua, lo stupore che colma l’animo entrando in Piazza dell’Unità è sempre giovane e rinnovato: la semplice ariosità di questo luogo, accentuata da un cielo primaverile, travolge chiunque vi faccia il suo ingresso. Le architetture maestose ed imponenti che la circoscrivono non soffocano il visitatore nell’ampio spazio interno: al contrario, paiono ricordare la sguardo di un padre severo ma affettuoso, solido ma premuroso. Giunto lì, quella mattina, ho assaporato il suo ampio abbraccio, con il quale tende le braccia sino ad avvolgere il mare, abbeverandosi dall’orizzonte luminoso ed infinito. Ho mosso i miei passi verso il Molo Audace, spingendomi sino alla sua punta estrema, quasi un Magellano nel mio microscopico universo. Procedendo, sono stato avvolto dall’odore di salsedine, dalle onde che, gentili, si infrangevano contro la battigia.





Ho goduto della vista dalla città da questo angolo, mirandone i declivi che conducono ripidi al Castello di San Giusto, all’Università centrale, e infine alla corona dell’altopiano carsico, che cinge le vette di Trieste con una brulla corazza intarsiata di grotte, antri sotterranei, ed altri innumerevoli segreti celati dalla Natura.





Allora, certo non potevo immaginare che quella visita casuale, una fra mille altre, sarebbe stata l’ultima del mio soggiorno. L’ho vissuta con la naturalezza della quotidianità, senza rivestirla del dramma dell’addio. Eppure, in tutta la semplicità degli eventi di ogni giorno, quella visita è riuscita a destare in me sentimenti di meraviglia, pienezza d’animo, estatica contemplazione. Che forse proprio in questo risieda la vera Bellezza? Non nello sconvolgimento emotivo, in quella tempesta scaturita dalla straordinarietà di uno strappo; bensì da quel dolce sublime capace di fiorire dalla pura quotidianità.

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