L'ossessione per la lucidità e il fascino della vaghezza

I piaceri che genera l’intelletto, che si materializzano nell’arte, nella scrittura o nella semplice contemplazione della natura, possono essere estremamente soggettivi e personali. È molto comune anche se paradossale, inoltre, che un’attrazione per caratteristiche opposte e antagoniste sia presente in uno stesso individuo. Questo è generalmente il caso della lucidità e della vaghezza.

Un ragionamento lucido è un flusso ponderato, limpido e razionale di pensieri, deduzioni, affermazioni. Scorrendolo, traducendolo e interiorizzandolo si prova inevitabilmente il dolce piacere dell’apprendimento, della puntualità e della semplicità di concetti che si concatenano in una danza armoniosa. Il decorrere di un ragionamento lucido è la rotazione naturale dei danzatori di Matisse.  


La danza, Matisse (1909)

 

Il vago rappresenta l’indefinito, lo scuro, lo sfumato, l’infinito. È un cielo con troppe stelle per contarle tutte, un corpo con troppi atomi, una società con troppe interconnessioni per seguirle una ad una senza perdere il lume della ragione. Il vago è un mondo illuminato dalla luce fioca di una luna pallida, citando Leopardi nello Zibaldone:

“È piacevolissima ancora, per le sopraddette cagioni, la vista di una moltitudine innumerabile, come delle stelle, o di persone ec. un moto moltiplice, incerto, confuso, irregolare, disordinato, un ondeggiamento vago ec., che l’animo non possa determinare, né concepire definitamente e distintamente ec., come quello di una folla, o di un gran numero di formiche o del mare agitato ec. Similmente una moltitudine di suoni irregolarmente mescolati, e non distinguibili l’uno dall’altro ec. ec. ec.”

 

Monaco in riva al mare, C. D. Friedrich (1810)
 

Se il ragionamento lucido rappresenta il trionfo dell’uomo e del suo egocentrismo, il tappeto rosso su cui lascia sfilare la potenza del suo intelletto, la vaghezza dovrebbe portare con sé un senso di ridimensionamento e inferiorità. Eppure l’indefinito ci affascina, ci attira, ci incuriosisce non meno di un flusso logico e ordinato. Come è possibile?

Abbiamo bisogno del sublime, dell’infinito e dell’indefinito in quanto sono qualcosa con cui sappiamo di non poterci misurare. Alziamo lo sguardo verso il cielo per scappare dal sospetto che un ragionamento logico e deduttivo, anche il più esatto, sia soltanto un’illusione assiomatica o un’ approssimazione inconsistente. Perdersi nell’infinito, che sia sul ciglio di una collina marchigiana o davanti ad un fenomeno naturale o sociale troppo complesso, vuol dire riuscire a disfarsi almeno una volta di quelle certezze che con fatica ci siamo costruiti e che ci aiutano a vivere, trascendere la prassi analitica e le regole che ci siamo imposti, e immaginarne di altre. 


 

Trascinando un po’ a forza questa piacevole dicotomia su un piano scientifico, esiste una parte della scienza che è affascinata dall’esattezza del fondamentale, dell’infinitamente piccolo, dal costruire castelli logici e molteplici diramazioni, che cresce come un’edera su una parete. È la matematica, per eccellenza, ma anche la fisica fondamentale e l’informatica, e chissà quali altre. Possiedono un fascino estremo.

Esiste poi un’altra parte della fisica, la fisica statistica o fisica della complessità, che abbandona l’isola sicura dell’esattezza e naviga a vista nel mare del vago, dello sbiadito, dell’infinitamente complesso. Non essendo in grado di controllare l’infinitamente numeroso, essa è costretta a scostarsi dalla sequenzialità appagante di un lucido ragionamento deterministico.

Diramandosi da strutture e strumenti che si fondano sulla probabilità e non più sulla certezza, questa ribalta i ruoli facendo diventare la numerosità infinita da ostacolo insormontabile a caratteristica imprescindibile per il suo funzionamento. Il cosiddetto limite termodinamico (ovvero la caratteristica del sistema di avere infinite e non più controllabili unità fondamentali), che con una lente letteraria abbiamo focalizzato come sublime, viene sfidato dallo scienziato il quale, una volta consapevole della sua ignoranza e dei limiti di questa sua tecnica, paradossalmente riesce a servirsene.

 


La fisica della complessità, nel suo tentativo di scontrarsi e ricavare informazione dall’infinitamente numeroso e complesso, aggiunge ad un fascino naturale del sapere scientifico la seduzione di questo incontro con il sublime, che in molte anime scientifiche oppure artistiche coabita con l’attrazione quasi ossessiva per la lucidità, il rigore, la sequenzialità e la precisione meccanica.

 

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