È assurdo che ci sembri assurdo anche solo pensare di eliminare la PUBBLICITÀ

Drin drin drin. È mattina, corri a disattivare la sveglia. Vai in bagno, apri il tuo gioco risparmia-cervello e aspetti dieci secondi di PUBBLICITÀ "ma ti pare che attivo la funzione premium!". Già con qualche senso di colpa per il tempo sprecato, decidi di peggiorare il tutto con un video su Youtube, PUBBLICITÀ. Accendi la TV, notiziario di sottofondo intermezzato da PUBBLICITÀ. Ti vesti, scendi di casa e prendi il tram. PUBBLICITÀ sui vetri. Sei così abituato alla pubblicità ubiqua, a strategie più subdole e invasive, che a quella sui cartelloni neanche ci fai tanto caso. Ti sembra un'innocua texture a riempire la tinta altrimenti monotona e noiosa dei muri cittadini. Una cosa ingenua, old school, anni ’90.

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Arriva Alien sulla Terra. Provo a spiegargli che su questo pianeta un sacco di persone passano tutte le loro giornate a lavorare sulla pubblicità, migliorare la pubblicità, organizzare la pubblicità, cercare di proporre più pubblicità. 

Allora questo Alien, che è un alieno abbastanza logico, mi chiede: ma allora questa pubblicità deve essere una cosa grossa, importante, utile?

No, mio caro alieno, la pubblicità non serve assolutamente a niente. 

Sfido chiunque, ma davvero chiunque, a raccontare una situazione in cui un'informazione pubblicitaria sia servita a migliorare la sua vita, la sua persona, la sua scelta. Sì esatto, anche la sua scelta.

Perché io del martello ho bisogno nel momento di piantare un chiodo. E ho bisogno di un martello buono, non di un martello ben pubblicizzato.

La pubblicità ci fornisce risposte (suggerimenti) a domande non richieste: non mi sveglio la mattina chiedendomi quale shampoo sia il migliore secondo Cristiano Ronaldo, quale macchina del caffè emetta meno rumore, quale yogurt contenga più bifidusactiregularis. La pubblicità ha l'utilità di una frase aperta a caso del celebre "Libro delle Risposte".  

 Libro delle Risposte, fate una domanda e questa applicazione vi risponderà!

La strategia pubblicitaria si fa sempre più subdola e invisibile, e non è nociva soltanto nel catturare fastidiosamente l’attenzione. Su Google Maps, con uno zoom abbastanza largo su Roma già vedo indicato qualche pub, un centro estetico e un ristorante, che hanno pagato, ma non ancora una stazione o un ospedale. Il servizio peggiora! E la mia scelta del ristorante sarà contaminata, ristoranti dozzinali che si fanno una buona pubblicità continueranno ad esistere e prosperare… 

 

Con ChatGPT e i suoi compagni, tutto ciò potrebbe amplificarsi all’ennesima potenza. “Caro Chat, mi consigli un tagliaerba?”. E via con il tagliaerba della marca che ha pagato di più. Amazon già lo fa, mettendo in evidenza gli articoli sponsorizzati e allineati alle preferenze dell’utente con metodi di AI. Ma tutto ciò rimane abbastanza individuabile da un utente attento. Con la sua persuasività data dalla capacità di argomentare, invece, il modello linguistico avrebbe gioco facile a convincerti che quella marca sia effettivamente ciò che più si adatta alle tue esigenze, e con il miglior rapporto qualità prezzo.

E chissà che non lo faccia già, indipendentemente dalle intenzioni più o meno malevole dei suoi sviluppatori. Mi spiego: un Large Language Model potrebbe essere stato allenato su un materiale contenente pubblicità. In parole povere, potrebbe aver letto che quella marca del tagliaerba è la migliore su centinaia di inserzioni pubblicitarie di giornali o siti, e quindi convincersene e riproporlo.

 

Concedetemi un po’ di filosofia alla Dylan Dog. La nostra identità muta in base all’azione in cui siamo coinvolti. Un film o un concerto mi rendono spettatore. Una lezione mi rende studente o professore, uno sport giocatore e così via. Attraverso la scelta delle azioni a cui mi sottopongo, a cui prendo parte, prende forma la mia identità. [Identità termine controverso, sfaccettato e inflazionato. Ok, l’ho detto, ora passiamo oltre] Adesso, la pubblicità mi tratta come un consumatore, mi rende consumatore. Ed è svilente.

Eppure nessuno, ma proprio nessuno, di recente ha minimamente accennato nel dibattito pubblico alla sua rimozione, e pochissimo si parla della sua regolamentazione (il filosofo Floridi racconta qui che durante una cena a Bruxelles è bastato un accenno alla rimozione della pubblicità per far calare un silenzio imbarazzato). Nel 1995 alcuni partiti di sinistra promossero un referendum per la regolamentazione della pubblicità durante i film, riprendendo lo slogan coniato da Fellini per una simile contestazione negli anni '80 Non si interrompe un'emozione. Qualora avesse vinto il SÌ, la pubblicità sarebbe potuta solo all'inizio e dopo la fine di un film, o al più in determinati intervalli previsti dall'autore o dal regista. Al referendum vinse il NO, con il 56% (si raggiunse il quorum). 

Non si interrompe un'emozione - La Ginestra - Luna Esposito 

Tuttavia, un esempio virtuoso c’è. Su Change.org è stata promossa una petizione per abolire la pubblicità nei programmi Rai per bambini, sostenuta da più 20mila persone: sorprendentemente, nel 2016 la Rai accolse la proposta e non si limitò a eliminare la pubblicità da Rai YoYo, ma anche da Rai Storia e altri canali tematici. Tuttavia, questo rimane un caso isolato. 

 

La pubblicità costringe ad investire un sacco di tempo in lavori inutili per la collettività, "bullshit jobs" all'ennesima potenza. Consuma attenzione e anche produttività, confonde, manipola, tartassa, fa perdere tempo. Non solo, contamina le scelte, premiando il meno meritevole e inquinando la concorrenza. In una società sedicente logica e razionale, qualcosa di così dannoso verrebbe immediatamente eliminato. È davvero così imprescindibile per il sistema economico, o possiamo farne a meno? Il fatto che soltanto ipotizzarlo suoni davvero molto strano è davvero molto interessante e dimostra quanto siamo assuefatti dal modello che abbiamo più o meno consapevolmente scelto di adottare. È un’eresia!

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Certo, i colossi dell’internet, Google, Meta, TikTok, ma anche testate giornalistiche, collasserebbero. Gli mancherebbe la loro linfa, la terra sotto ai piedi. Dovrebbero proprio rifondare il loro modello di business. Sarebbe un male? Direi di no.

Ad oggi il loro modello si fonda su una transazione fondamentale: servizi, ma soprattutto intrattenimento (engagement), in cambio di attenzione (ingurgitare pubblicità). Non serve denaro, tutto è facile e gratuito. Il guadagno è il surplus che l’utente paga acquistando dalle aziende sponsorizzate, che a loro volta pagano i colossi tech. Chiarissimo.

Basterebbe una legge tanto semplice quanto rivoluzionaria, che dice:

“Vietata la pubblicità online.”

4 parole, un mondo che cambia. 

Social Media Marketing: cos'è, come si fa e quali sono i vantaggi 

L’obbiettivo delle piattaforme non sarebbe più catturare l’attenzione, massimizzare il tempo speso sulle piattaforme. Al contrario, il servizio sarebbe a pagamento e il loro scopo sarebbe di convincerti a sottoscrivere un abbonamento.

E l’atto di dover pagare costringerebbe l’utente a comportarsi in modo meno impulsivo, superficiale: vale davvero la pena? Offre davvero un buon servizio?

Quindi, in una catena virtuosa, offrire un buon servizio diventerà lo scopo delle piattaforme e degli altri servizi online. Non saranno i titoli altisonanti di un giornale a farti accedere al suo sito, ma una scelta deliberata, fatta in un preciso istante di tempo e a cui tu, consapevolmente, hai assegnato una frazione della tua attenzione e capacità cognitiva.

Sia chiaro, i video dei gattini su TikTok magari continueranno a essere visti, ci mancherebbe! Ma almeno in modo consapevole, consequenziale ad una decisione in cui la persona svolge un ruolo attivo, e paga un costo. 

Non solo l'online. Tanti sistemi che si reggono sul paradigma "monetizzare la visibilità con la pubblicità", lo sport ad esempio, dovranno essere ripensati, si dovranno riorganizzare. 

4 parole, forse fra le più eretiche che si possano pensare. Una rivoluzione.

Pubblicità allo stadio di Roma | Sequoiamedia.it 

Impensabile? Forse. Ma fino al mese scorso era impensabile anche vedere sfilare più di un milione di persone, per le strade di mezza Italia, solidali alla causa palestinese.

A Roma duecentocinquantamila in protesta pro Palestina – ConfineLive 

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