Il carisma perduto dei Professoroni

Dopo che, nel giugno 2020, Zangrillo sentenziava "Il Coronavirus clinicamente non esiste più " il Covid non ha certamente cessato di esistere, ma la credibilità di un'intera classe di studiosi, i virologi, quella sì che è arrivata ai suoi minimi storici. La gente non riesce più a fidarsi dei vari Burioni, Capua, Crisanti, Galli. Se da una parte ciò è dovuto all'insolente mediocrità di una stampa che non si risparmia nello svendersi per un virgolettato mal estrapolato che faccia notizia, dall'altra si è rivelata innegabile la totale impreparazione di questa categoria scientifica a trovarsi sotto i riflettori di tv generaliste, con un paese intero che gli pendeva letteralmente dalle labbra. 

 

In una down-to-up così difficile da gestire, è venuta fuori la sfrontatezza di qualcuno, le manie di protagonismo di qualcun'altro, l'infantilità, l'insicurezza o l'opportunismo di altri ancora: insomma una totale, evidente mancanza di professionalità e autorevolezza da parte dei rappresentanti casualmente scelti della ricerca scientifica che, se da un lato avanza preponderante, dall'altro fatica sempre di più ad essere compresa e accettata.

 

 

Questa sfiducia nella scienza da parte di una percentuale straordinariamente elevata della popolazione è qualcosa che chiaramente non può essere imputabile soltanto ai vari Zangrillo, Burioni, Capua, ma va piuttosto inserita in un fenomeno più ampio di mancanza di fiducia per le istituzioni, di cui quella accademica è soltanto un'espressione. 

 

Un mondo a due velocità, una per i ricchi e una per i poveri, una per i laureati una per la gente comune, una per la Silicon Valley un'altra per la periferia di una grande città, una per i giovani dipendenti di una società di consulenza e un'altra per un libraio appassionato, ha creato una miriade di divergenze fra questi e altri sottomondi, ampliate da una tecnologia che porta le spaccature sociali all'estremo attraverso una facile, automatica radicalizzazione e autoconferma ideologica. Il luogo fisico, certamente limitante ma anche unico mezzo democratico di incontro, e' stato totalmente trapassato da una serie di classi lavorative sempre più autoreferenziali, tanto che nell'epoca Covid non ne abbiamo sentito troppo la mancanza. Centelliniamo i contatti con chi non rientra nella nostra bolla lavorativa e affettiva: non li conosciamo, non li vogliamo conoscere e non ci incrociamo nelle nostre vite caotiche neanche per sbaglio. Come possiamo capirne i bisogni? Come possiamo parlare il loro linguaggio? Come possiamo prospettare un'utopica società inclusiva, classi sociali realmente connesse e intercambiabili?  

 

Se i ricchissimi non hanno interesse ad entrare in contatto con classi sociali più variegate, se non per interessi economici o per far accettare dalla massa la loro posizione privilegiata, la scienza non può prescindere da una sua immagine pubblica. In un sistema privatizzato ancora solo in parte, i finanziamenti statali sono la sua linfa vitale e quindi il rapporto con il cittadino, contribuente,  è anche economicamente fondamentale. Ma oltre all'aspetto economico, la scienza, in questo discorso in veste piuttosto di Sapere Scientifico, ha tutto l'interesse a confermarsi come valore fondante e comune, al pari di altri che rincorriamo freneticamente come il Guadagno o la Famiglia. Eppure questa passione per la conoscenza, questo approccio scientifico e razionale al mondo, i misteri che questo svela o con cui si scontra, pare che interessino soltanto una cerchia ristretta di addetti ai lavori e rimangano inaccessibili ai più. L'ammirazione ingenua e sottomessa che il poco istruito provava in passato nei confronti di chi aveva studiato si è trasformata in diffidenza, la trasmissione del sapere in arroganza, la passione per la tecnologia in superficiale cultura nerd. La responsabilità è di entrambe le parti.


Gli scienziati si sono costruiti con cura un bolla che li avvolge quasi totalmente: il privilegio di camminare parallelamente al mondo e non dovercisi scontrare viene ripagato con l'eccellenza, la dedizione assoluta ai limiti dell'ossessione, le competenze tecniche e spesso l'accettazione del nomadismo (spostarsi continuamente alla ricerca di fondi e posizioni). La comunità scientifica diventa il loro Stato, i legami col territorio, con le persone e i luoghi reali sono ridotti al minimo, assumono i colori tenui e sfocati di uno sfondo poco influente. Condizioni al contorno, in gergo. Come si può pretendere, da questa assenza perenne, un improvviso rispetto e accettazione in momenti in cui ne sorge il bisogno?


Nessuna narrazione acuta e convincente può avvicinare un mondo così lontano al cittadino comune. Nessun tipo di divulgazione può ovviare ad un'incomprensione così evidente, neanche il più accattivante. E' la sostanza che deve cambiare,  è lo scienziato che deve riconquistarsi il carisma perduto ripopolando il mondo reale: scuole, centri culturali, eventi reali e virtuali, dibattiti pubblici o anche salotti privati, devono brulicare di ricercatori vogliosi di incontrarsi e scontrarsi con un mondo senza expertise, per restare in tema, ma di cui volenti o nolenti devono guadagnarsi il rispetto e la considerazione. 

 

Lo scienziato del post-covid deve essere in grado e sentire il dovere di dialogare col mondo, riconquistare una sembianza umana accettando di perdere la sua aura protettrice di superiorità e apparente infallibilità, troppo spesso utilizzata come coperta di Linus. Deve sapere ritagliarsi un ruolo centrale nel dibattito pubblico con una voce ponderata e autorevole. Costantemente, e non solo nel momento in cui il suo ruolo diventa improvvisamente importante per la comunità, deve sapere farsi ascoltare. In qualche modo, la ricerca scentifica se solo volesse saprebbe indicarne il più adatto, l'approccio razionale e scientifico deve entrare nella vita di tutti, non rimanere un'ossessione di pochi. Ne va non solo del futuro della scienza, ma del delinearsi di una società migliore.

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