L'eredità del Coronavirus lasciata a noi ventenni

Siamo nel bel mezzo della crisi, ma si puo' gia' notare come il Covid-19 sia ormai entrato a gamba tesa nella storia del Paese e nella vita delle persone.

Soprattutto in quelle disordinate di noi ventenni, che l'evento piu' traumatico che avevamo vissuto era l'attentato alle Torri Gemelle del 2001. Di cui non ricordiamo niente, a parte i racconti dei parenti alle cene di Natale e qualche documentario, magari complottista.



Siamo cresciuti osservando tutti i limiti delle generazioni precedenti venire infranti, uno dopo l'altro. Fino a poco fa, potevamo viaggiare ad un prezzo stracciato per raggiungere amici sparsi in mezzo mondo. 
Scendendo al ristorante Fusion sottocasa e ci bastava ordinare al cameriere 10 numeri a caso per avere una tavola stracolma di piatti esotici, che se ci avessimo messo sopra dei carrarmatini avremmo fatto il tavolo di Risiko.

Ed ora il fantastico mondo di connessioni e voli fisici e pindaricamente cibernetici e' finito. Sbarrato.  Neanche possiamo giocare a Risiko online perche' e' sovraccarico.
(Si', alcuni hanno scoperto durante questa quarantena che i siti non sono onnipresenti ma possono andare in sovraccarico; vedi alla voce Netflix)

Adesso che e' cambiato tutto, a parte sentire un'assordante mancanza di cose, gesti e relazioni, stiamo capendo, una volta per tutte, di non essere onnipotenti.

Dopo secoli in cui ci hanno detto "guarda te stesso, investi sulle tue potenzialita', capisci il tuo talento, cerca di realizzarti, guadagna divertendoti e costruisci la tua felicita'", stiamo realizzando che non possiamo prescindere dagli altri.

La stessa nostra vita, o comunque quella dei nostri piu' cari, dipende inesorabilmente dalla formazione del personale di un'ospedale di Brescia, dalle capacita' organizzative del sindaco di Milano e dal fatto che la famiglia del piano di sopra non si riunisca clandestinamente coi parenti per festeggiare il compleanno del figlio.


Se qualcuno un po' si compiace a rivangare con questa quarantena forzata quello Stato autoritario che tanto era piaciuto a lui e a suo nonno, io vorrei scorgere in questo periodo melmoso la formazione di radici per un Paese diverso.


In Italia il 10% detiene quasi il 30% del reddito nazionale, il 50% piu' povero meno del 25%. Presumibilmente quasi tutto quel 10% rimarra' vivo e ricco anche dopo la fine dell'epidemia. Adesso io mi chiedo, quel 10% ha dato alla societa' una apporto maggiore di uno dei 19 medici che, finora, hanno sacrificato la loro stessa vita per salvare anche quell'10%?

Io direi di no, ma forse e' un no solitario, passeggero, frustrato. E serve a poco.


Pero', mi continuo a domandare, in questa notte in cui abbiamo superato persino i morti della Cina,  se un trauma del genere, in cui ci siamo dovuti guardare in faccia, tutti, ci costringera' a porci qualche domanda sulla legittimita' di una societa' che, ogni anno sempre di piu', acuisce le disuguaglianze, che distanzia le persone, crea una scala sociale con vari livelli che poco si toccano. Finche' emergenze come questa richiamano tutto e tutti fianco a fianco, come in trincea, indistintamente. Allora e' giusto, una volta finito tutto, ridistribuire i privilegi esattamente come prima, facendo finta che non sia successo niente?

Magari sara' cosi', ma nelle nostre coscienze, nel nostro stare al mondo, si e' sicuramente mosso qualcosa, che difficilmente anni di abbondanza potranno del tutto annichilire.

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